12.05.2024
Parte una musica, il Valzer II della Jazz Suite n. 2 di Dmitrij Šostakovič. “WARNER BROS. presents”, titoli bianchi su sfondo nero. Appaiono sullo schermo i nomi dei due protagonisti, Tom Cruise e Nicole Kidman. E poi: “A film by STANLEY KUBRICK”. La prima sequenza filmata dura 7 secondi. Una donna si toglie un abitino nero leggero, sotto il quale non indossa nulla. Rimane nuda, di schiena. Sempre bianco su sfondo nero compare il titolo del film, Eyes Wide Shut. La breve inquadratura successiva mostra una strada in una New York notturna. Torniamo all’interno dell’abitazione dove abbiamo visto la donna spogliarsi. Un piano sequenza della durata di 1’ ci fa muovere morbidamente all’interno di una residenza alto-borghese. Questo minuto mostra i preparativi di una coppia, tra toilette e dialoghi banali (“Hai visto il mio portafoglio?”), prima di affidare la figlia a una babysitter e uscire di casa.
Si tratta un incipit particolarmente denso, piene di promesse. Il primo evento cui assistiamo è una svestizione, messa tra le parentesi dei nomi degli autori (il regista e i due attori) e del titolo del film. L’inquadratura che mostra Nicole Kidman (Alice) mentre si spoglia non è in continuità con i preparativi per l’uscita del piano successivo. Siamo nella stessa casa e la donna è la stessa, ma le due sequenze appartengono a momenti temporali distinti: la donna si sta spogliando e non vestendo, le scarpe che indossa sono diverse, così come l’acconciatura. Anche la luce è differente. Incastonato tra due titoli, quello che vediamo è una sorta di teaser, sia nel senso oggi comunemente inteso (un breve filmato che, al contrario del trailer, anticipa il film senza riassumerlo), sia in senso letterale: qualcosa che stuzzica l’occhio, una provocazione. Lo si può commentare con il verso di una canzone dei Velvet Underground: “She's just a little tease / (She's a femme fatale)”. La sequenza è un’anticipazione di quello che vedremo, una promessa: in questo film si parla di corpi e di (del trauma del) desiderio. Un (meraviglioso) corpo nudo femminile ripreso di schiena contiene già tutto il film. Il quadro intorno alla donna è composto dai colori rosso, nero e bianco che costituiscono, con il blu, l’ossessiva palette di Eyes Wide Shut. Una coppia di racchette da tennis, una con il manico rosso e una con il manico nero, è appoggiata ad un angolo.
Quel primo gesto di guardare un corpo nudo anticipa e promette. Il guardare, a occhi aperti o chiusi, trascina con sé una lista di fantasie. Come in un campionario, il film suggerisce, più che mostrare, una serie di pratiche sessuali (o perversioni, o parafilie) che sembra poter accumulare all’infinito. Al pari di un moderno streaming site pornografico, Eyes Wide Shut propone una scelta fra tante categorie: già nel primo minuto ci sono il voyeurismo (una percezione di sguardo nascosto), l’erotismo scatologico (Kidman è ripresa sul water mentre si pulisce con la carta igienica), il feticismo da tacco alto, la baby-sitter (l’immaginario con la baby-sitter). A stretto giro arrivano la visita dal dottore (a essere visitata è una modella dal seno prorompente), la prostituzione, la necrofilia (nella scena dell’obitorio), la pedofilia (che coinvolge la figlia del negoziante di costumi), il mascheramento e l’anonimato, e poi, ovviamente, il tradimento e l’orgia. C’è anche un momento di eccitazione da contatto indiretto, quando, al ballo, l’ungherese che vuole sedurre Alice beve volontariamente e voluttuosamente dal suo bicchiere. Il catalogo è questo. Le pratiche sessuali sono possibilità, lecite o illecite, legali o illegali, tollerate o bandite, allettanti o inopportune, morali o no.
Quella sancita in apertura dal nudo di Nicole Kidman è una promessa ambigua. Il corpo di Alice viene sublimato e subito volgarizzato: la donna si spoglia in uno spazio delimitato da quattro colonne da tempio, è una bellezza assoluta, classica, divina; ma quando la rivediamo due inquadrature dopo è seduta sul water. Una degradazione simile segue anche l’altra scena di nudo integrale, quella di coppia con Tom Cruise (Bill) sulle note di Baby Did a Bad Bad Thing, dopo la quale vediamo Alice che si deodora e si annusa le ascelle. Corpo perfetto e imperfetto, pulito e sporco, metafisica e carne, etereo e materico stanno insieme in un punto di disequilibrio che è esattamente quello in cui si inserisce la sessualità.
Prima di accomiatarsi dalla figlia e dalla baby-sitter, Bill spegne lo stereo. Šostakovič si tace. La musica era diegetica. Il valzer serviva a prepararsi alla festa da ballo. È tutto solo preparazione, desiderio interrotto, brusche frenate, rotture. Al party dell’alta società, l’ungherese, per provare a sedurre Alice, cita Ovidio, l’arte di amare. Alice non si fa impressionare, ribatte senza esitazione e con acume che Ovidio è finito male, esule in una terra inospitale. Non c’è happy ending nell’arte dell’amore. Nemmeno in quell’ultima brusca, definitiva, calda eppure raggelante parola che chiude Eyes Wide Shut come una ghigliottina.