Eterotopie dell'umano
Ubaldo Fadini

22.01.2022


Un’apertura

L’essere umano: un caso complicato


Nel suo Imperfezione. Una storia naturale, Telmo Pievani rileva l’importanza del caso nel momento in cui si fanno i conti con l’imperfezione/perfezione in natura e tale osservazione mi sembra da richiamare anche e soprattutto in relazione ad una immagine dell’essere umano che lo presenta come una sorta di “condominio affollato che ospita miliardi di microbi, in equilibro instabile.

Essendo la natura sempre ambivalente e imperfetta, alcuni ci fanno vivere (sono simbionti: noi abbiamo bisogno di loro e viceversa), altri approfittano di noi senza farci troppo del male (sono parassiti innocui o commensali), altri ancora ci infettano e ci fanno ammalare (sono patogeni), altri ancora iniziano innocui ma poi diventano patogeni. Nel caso di molti altri, semplicemente, non sappiamo ancora che cosa facciano. Non siamo soli nemmeno nel nostro corpo. Siamo ‘olobionti’”1.

Siamo una imperfezione che funziona, almeno in parte, ed è in questo senso, nell’apprezzamento del nostro essere di relazione, “mutualmente costituiti” per dirla con Tim Ingold, che appare ancora utile ritornare al complesso dei temi e delle figure proprio dell’antropologia filosofica novecentesca, a partire appunto dagli anni Venti del secolo scorso, con i suoi esponenti di maggiore spicco, da Max Scheler e Helmuth Plessner a Paul Alsberg e Arnold Gehlen, non dimenticando colui a cui si deve una prima versione dell’antropologia “negativa”, Günther Anders.

Soprattutto mi sembra essenziale ribadire il carattere di instabilità della nostra vicenda evolutiva da un punto di vista biologico e storico-sociale: se in effetti è l’instabilità il motore del nostro avventurarci nello spazio e nel tempo, allora pare opportuno ribadire che l’essere umano è un organismo in un particolare “ambiente”, una ben singolare entità vivente che diviene nel suo rapporto con un “mondo” complesso presente ai suoi occhi di essere insieme naturale e sociale. Allo svilupparsi della sua storia concorre in modo decisivo la tecnica, corresponsabile del suo procedere ingarbugliato, del suo manifestarsi molteplice.

In L’uomo nell’era della tecnica, del 1957, Gehlen rimarca come lo specifico umano sia da individuare in un agire che è naturalmente tecnico, che ben raffigura la mobilità propria di un essere che è “carente” (a livello istintuale, come appare nel confronto con gli animali non umani) ed “eccedente” (sul piano pulsionale, del possesso cioè di risorse/energie vitali dalle quali attingere per inventare tutto quello che può servire a conservarsi proficuamente in vita).

Rispetto ad altre caratterizzazioni dell’umano che ricorrono al dato di essenzialità della tecnica, ad esempio quella di matrice “aristotelica” che affianca però a quest’ultima altre capacità/facoltà umane in grado di ridimensionarne gli effetti a volte prevaricatori (ad esempio la ragione “contemplante” oppure la prassi “fronetica”), Gehlen insiste sull’essere umano come essere naturalmente tecnico, artificiale, il che significa affermare la tecnica come qualcosa che inerisce alla natura umana in termini tali da modificare, nel confronto con la realtà esterna, tutto quello che risulta inadeguato allo svolgimento soddisfacente del compito del sopravvivere o del conseguimento di una condizione di “ben-vivere”, per dirla con Edgar Morin.

È in questa prospettiva che va richiamata la distinzione della tecnica, riferita alla sfera della corporeità, in tecniche di integrazione, che rimpiazzano le capacità non possedute dagli organi, in tecniche di intensificazione, che potenziano determinate capacità organiche, e in tecniche di agevolazione, che alleggeriscono certi esercizi organici.

C’è un testo del 1953, La tecnica vista dall’antropologia, nel quale tutto ciò è esplicitato in maniera chiara ed esauriente e che ritornerà nello sviluppo di questa mia ricerca che ha appunto sullo sfondo, ma non soltanto, la tradizione dell’antropologia filosofica novecentesca: “Fin dalla sua origine l’uomo è stato accompagnato dalla tecnica, ed essa è tanto originariamente sapiens quanto lo è l’uomo. Ci conduce più vicino a cogliere questa intima interconnessione una riflessione compiuta da Alsberg, Ortega y Gasset e altri, che hanno fatto discendere la necessità della tecnica dalla carenza in fatto di organi. Fra le più antiche testimonianze di manufatti umani rientrano in effetti le armi, che come organi sono mancanti, e sotto questa voce andrebbe contato anche il fuoco, pur essendo servito primariamente per il riscaldamento. Questo sarebbe il principio del sostituto dell’organo, accanto al quale compaiono fin dall’inizio l’esonero dell’organo e il superamento dell’organo. La pietra impugnata per colpire esonera e nel contempo supera nel risultato il pugno. Il veicolo, la cavalcatura, ci esonerano dal camminare e ne superano ampiamente le capacità. Nella bestia da soma il principio dell’esonero (Entlastung) diviene intuibile in modo tangibile. L’aeroplano a sua volta sostituisce le ali che non ci sono cresciute, e supera ampiamente tutte le prestazioni organiche nel campo del volo. Alcuni di questi esempi indicano che esiste una tecnica dell’organico molto antica: l’addomesticamento, e anzitutto l’allevamento di animali è una autentica tecnica, riuscita solo dopo molti esperimenti”2.

Tutto ciò ha alla base un’idea della tecnica come qualcosa di intimamente connesso con la sfera della corporeità, legame che vale come vero elemento nodale di qualsiasi antropotecnica – anzi, direi qui di più, che anche sulla base di tanta ricerca in ambito biologico, tra la fine del xix secolo e i primi decenni di quello successivo, si può vedere diversamente dallo stesso Gehlen tale nesso, così come ha fatto Heinrich Popitz in un suo testo ancora oggi estremamente stimolante, Verso una società artificiale.



1 Telmo Pievani, Imperfezione. Una storia naturale, Raffaello Cortina, Milano 2019, p. 40.
2 Arnold Gehlen, Prospettive antropologiche, trad. it. di S. Cremaschi, presentazione di Gianfranco Poggi, il Mulino, Bologna 1987, p. 128.




©Ubaldo Fadini, Eterptopie dell'umano, Ombrecorte 2022