11.06.2023
Il testo che pubblichiamo è un estratto dalla Prefazione alla nuova edizione del 2023 (a cura di Gennaro Avallone) del volume di Jason W. Moore, Ecologia-mondo e la crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato, edito da Ombrecorte
La natura non è né un osservatore innocente, né una vittima che può essere “salvata”. Tanto meno la natura è una descrizione libera da valori di uccelli e alberi, di rocce e bestiame, di torrenti di montagna o inondazioni torrenziali. No, davvero. Natura, ha osservato Raymond Williams (1983a), è la parola più complessa della lingua, di qualsiasi lingua moderna. Ma Williams ha percorso solo una parte della strada verso una critica rivoluzionaria. A partire dal sedicesimo secolo, Natura è diventato qualcosa di più di una parola e di un’idea; essa si è cristallizzata come un feticcio, un pilastro ideologico del potere capitalistico, che continua ancora oggi nella crisi climatica capitalogenica. Natura è diventata la parola più pericolosa del lessico borghese (Moore 2019b).
Natura è ciò che Marx ed Engels chiamavano un’idea dominante, prodotta non solo per offuscare la realtà, ma per plasmarla. Tali idee dominanti invitano gli intellettuali a “condividere l’illusione” del loro tempo (Marx ed Engels 1972). Nulla è più cruciale per l’accumulazione di capitale della Natura. Certo, questo include foreste, vene minerali, terreni fertili e comprende anche il lavoro/energia non retribuito degli esseri umani, soprattutto i regimi coercitivi extra-economici di legge e cultura che costringono il lavoro riproduttivo sociale femminilizzato (Moore 2015a). L’idea di Natura funziona perché è una falsificazione, non malgrado ciò (la borghesia non ha né la volontà né la motivazione per squarciare i veli delle sue strutture nascoste) (Henderson 2013). Questi feticci nascondono lo sfruttamento della forza-lavoro nella produzione di plusvalore e offuscano l’appropriazione extra-economica del lavoro/energia non pagati di “donne, natura e colonie”.
Questa Natura ha preso forma come idea dominante fin dai primi momenti del capitalismo e presto si è sviluppata in un’astrazione dominante: l’elemento ideologico attivo nella filosofia della prassi ecocida della borghesia. La natura come astrazione dominante ha incubato un tipo speciale di violenza, intrecciando insieme l’estraniazione attraverso la forma merce (l’alienazione di Marx) con la violenta separazione del Civilizzato dal Selvaggio (Hage 2017). L’”economia” del plusvalore ha funzionato solo nella misura in cui la forza geoculturale, giuridica e politica del potere della borghesia ha reso a Buon mercato [Cheapened] tutto ciò che era raggiungibile (Patel e Moore 2018).
Tali astrazioni dominanti sono i mattoni ideologici delle strutture di dominio del capitalismo: il prometeismo (l’Uomo sopra la Natura), il razzismo (il Bianco sopra il Non-bianco), il sessismo (l’Uomo sopra la Donna) (Moore 2019b; 2020; 2021a). La storia del capitalismo e la sua lunga storia di genocidio ed ecocidio intrecciati, con inizio nel 1492, è più di una storia “materiale” di ambienti devastati, fosse comuni e opportunità di profitto create dagli imperi e sfruttate dai capitalisti. Essa è una storia funzionalmente abilitata da modelli ideologici appositamente progettati per consentire agli imperi e alle borghesie di gestire la vita planetaria nell’interesse dell’accumulazione infinita.
Fermiamoci per un momento a riflettere sulle geoculture del dominio nel mondo moderno. Il razzismo e il sessismo moderni emersero dalla grande crisi del lungo diciassettesimo secolo. Il linguaggio associato al dominio moderno – specialmente in relazione al razzismo e al sessismo – è impregnato di naturalismo borghese. Sebbene esso sia maturato durante l’era di Thomas Malthus, le sue radici si trovano due secoli prima, durante una crisi inedita del capitalismo (una crisi che coinvolse i cambiamenti climatici amplificati dai genocidi nel Nuovo Mondo). In quest’epoca, e in tutto ciò che è seguito, le geoculture del razzismo e del sessismo si sono basate su questa cosmologia completamente moderna: quella del civilizzato e del selvaggio. Le donne divennero i “selvaggi d’Europa” (Federici 2015). Africani, popoli indigeni delle Americhe, slavi, celti e molti altri diventarono “mostruosi” e selvaggi (Ramey 2008). In tale naturalismo imperiale, le donne potevano trovare la salvezza adempiendo ai loro ruoli “naturali” come madri e addette alla cura. Nei mondi coloniali, specialmente nelle Americhe, gli schiavi africani e i proletari indigeni costretti potevano trovare la salvezza attraverso il lavoro, in gran parte o interamente non pagato.
Ho dato evidenza al processo di rendere a Buon mercato [Cheapening] in maiuscolo. Lo faccio molte volte in questo testo: il lettore avrà già notato come ho designato Uomo e Natura. Lo faccio per ragioni pratiche, strettamente legate alla critica ideologica. In primo luogo, il maiuscolo ci orienta verso una precisa relazione storica. È una logica culturale ed economica – e quindi anche politica – del potere capitalistico, che intreccia l’accumulazione, le reti della vita e le sue forme di oppressione socialmente necessarie. Come sottolinea Marx, l’accumulazione di capitale e l’accumulazione di miseria sono dialetticamente collegate (Marx 1994 i, Capitolo 23). In secondo luogo, il maiuscolo sconvolge la nostra comprensione di senso comune del lessico sociale della borghesia: esso stesso strumento di deviazione e mistificazione. Le parole non sono mai solo parole; il potere di nominare un fenomeno socio-ecologico è un terreno di lotta emancipatoria. I movimenti di liberazione, quasi senza eccezione, insistono su nuovi vocabolari di critica e prassi per questa ragione. Essi implicitamente identificano l’egemonia della borghesia sui “mezzi di produzione mentale” e sulle illusioni che producono come una fonte vitale del potere capitalistico.
Nella lingua inglese, “rendere a buon mercato” [Cheapening] ha due significati principali. Ognuno contiene un momento cruciale della totalità storica che chiamiamo ecologia-mondo capitalistica. Un significato è vicino al sottotitolo di questo libro in italiano: “natura a buon mercato”. Esso corrisponde a una logica economica: qulla di eridurre il prezzo degli input di produzione. Tuttavia, non è necessario aderire al marxismo per capire che i capitalisti cercano di ridurre i costi di produzione al massimo grado possibile. La minimizzazione dei costi, tuttavia, non dipende solo da efficienza e innovazione economica. Praticamente tutto ciò di cui i capitalisti hanno bisogno per un ambiente commerciale favorevole dipende dagli stati e dagli imperi moderni.
Prima di affrontare questo momento politico, tuttavia, dobbiamo considerare il secondo significato principale di rendere a buon mercato. Esso indica la degradazione etica e culturale della vita e del lavoro. In inglese, “to cheapen” significa privare qualcosa/qualcuno di dignità e rispetto. Quando si incontra la frase “lavoro delle donne”, comune a tutte le lingue occidentali, si sta osservando questo processo di riduzione a buon mercato della vita e del lavoro. Il lessico borghese unisce il determinismo biologico – una specie di naturalismo borghese – con forme di domiazione culturale necessarie per garantire la riproduzione a buon mercato della forza-lavoro. Il caso del “lavoro delle donne” è specifico – e cruciale in prospettiva storica-mondo – ma non è eccezionale. Praticamente ogni lingua ha un linguaggio specifico per il lavoro svolto da gruppi etnici e razziali specificamente oppressi. Così si uniscono le due strategie della borghesia: definire e governare; dividere e conquistare, cercando in ogni occasione di opporre una frazione nazionale o etnica del proletariato ad altre. La riduzione a buon mercato è quindi una logica culturale di potere di classe razzializzata e di genere al servizio dell’accumulazione infinita del capitalismo, che implica e rende necessaria la conquista “infinita” della terra. Lungi dall’abolire la contraddizione, l’1% di oggi deve intensificarla. Il risultato è una nuova fase di guerra mondiale, sottolineata dalle “guerre per sempre” unipolari dell’America e una nuova fase della lotta di classe mondiale, che si svolge attraverso e contro la trinità capitalogenica: la divisione di classe del clima, l’apartheid climatico e il patriarcato del clima (Moore 2022c).
L’essere a buon mercato [Cheapness], in questo secondo significato, indica una logica geoculturale di svalutazione. Essa è il complemento dialettico della logica geoeconomica di valorizzazione. Il loro antagonismo è il rapporto attraverso cui viene combattuta la lotta di classe mondiale sulla natura a buon mercato. La Natura a buon mercato è, quindi, non solo uno strumento di sfruttamento, appropriazione e miseria, ma è anche il campo di battaglia ideologico di qualsiasi socialismo rivoluzionario e internazionalista degno di tale nome. Oggi le sue contraddizioni si esprimono in un mondo che esplode con le tensioni del tardo capitalismo in un inferno planetario.
La separazione Uomo e Natura è il sistema operativo della strategia di gestione planetaria della borghesia imperiale: basata fin dall’inizio, molto prima di Cartesio, sulla separazione tra “pensare” e “lavorare”. Prima che i manager capitalisti potessero cercare di spremere l’ultima goccia di plusvalore dai loro lavoratori, doveva esserci una cosmologia che ridefinisse il mondo in modo da consentire alla borghesia un dominio senza precedenti delle reti della vita. Non è un caso che la prima grande ondata di accumulazione originaria mondiale – dal Brasile al Baltico – creò non solo borghesi e proletari, ma anche l’Uomo e la Natura, i quali formano un’unità storico-mondiale.
L’influenza di queste due astrazioni dominanti si ramificò attraverso la formazione imperiale del capitalismo iniziale ed esse sono ancora con noi. Uomo divenne il simbolo della “sovra-rappresentazione” di sé stessa da parte della borghesia, radicata in successivi Progetti Civilizzatori, dal Requerimiento degli spagnoli (1513) al Discorso dei quattro punti di Truman (1949) (Wynter 2003). Nel modo più pratico possibile, questi Progetti designavano i popoli dei mondi coloniali e semicoloniali come pigri, selvaggi, barbari o altrimenti non cristiani, incivili, non sviluppati. Ciascuno di essi designava i popoli “selvaggi” del pianeta – insieme a foreste, minerali e suoli – come Natura (Patel e Moore 2018). Conosciamo molti nomi per quel Progetto. Per gli spagnoli, esso era la cristianizzazione; per i francesi, la mission civilisatrice; per i britannici, il fardello dell’uomo bianco; per gli americani, il destino manifesto e, dopo il 1949, la modernizzazione. Ognuno di questi imperi supponeva che il proprio particolare Progetto Civilizzatore rappresentasse il meglio che l’umanità avesse da offrire. Le formazioni sociali che si sono trovate davanti al cannone di questi Progetti Civilizzatori sono state ridefinite con il colpo di penna, ridotte al selvaggio, all’irrazionale, al pigro, al guerriero, all’animalesco - in breve, a tutto ciò che i Civilizzati non erano. In tutti i casi, vediamo come la geocultura imperialista sia emersa attraverso nuove cosmologie del Civilizzato e del Selvaggio: le “illusioni dell’epoca”.