30.04.2022
Introduzione
“Siamo rimasti marxisti”
In un’intervista realizzata da Toni Negri, Gilles Deleuze – alla vigilia della pubblicazione della sua ultima collaborazione con Félix Guattari – spiega in cosa consiste il lavoro che sta facendo con il suo coautore fin da L’anti-Edipo:
Credo che Félix Guattari ed io siamo rimasti marxisti, in due modi diversi forse, ma lo siamo rimasti entrambi. Il problema è che non crediamo a una filosofia politica che non sia incentrata sull’analisi del capitalismo e dei suoi sviluppi. Ciò che ci interessa maggiormente in Marx è l’analisi del capitalismo come sistema immanente che non smette di spostare i propri limiti, ravvisandoli sempre su una scala ingrandita, perché il limite è il Capitale stesso1.
Deleuze distingue qui cinque punti: primo, quella a cui ha collaborato con Guattari è una “filosofia politica”; secondo, la loro filosofia politica si basa su una “analisi del capitalismo e dei suoi sviluppi”; terzo, la loro analisi è fedele a Marx, che definisce il capitalismo come un “sistema immanente”; quarto, il sistema capitalista immanente non incontra mai il suo limite assoluto, ma può svilupparsi all’infinito, ristabilendo i suoi limiti relativi su una scala sempre più ampia; quinto, il “limite” costante del capitalismo non è altro che il capitale stesso come movimento di valorizzazione del valore attraverso la produzione di plusvalore, dato che ciò con cui il capitalismo si scontra in ogni momento del suo sviluppo è con l’essenza stessa del capitale, che consiste nell’aumentare la massa del plusvalore in termini assoluti, anche se questa massa di plusvalore continua a diminuire relativamente rispetto alla somma totale del capitale.
In breve, il capitalismo si avvicina costantemente a un limite (la caduta tendenziale del saggio di profitto), ma lo spinge sempre indietro (l’aumento costante del profitto).
Come imporre un limite assoluto al capitalismo che si sviluppa espandendo sempre i suoi limiti immanenti? Questo è il problema che la filosofia politica fa suo quando si basa su un’analisi marxista del capitalismo e delle sue fasi di sviluppo: dove, quando e come si può produrre il limite assoluto da cui partirebbe un altro concatenamento collettivo fuori dal capitalismo? Questo è il problema che Deleuze e Guattari pongono nel loro trittico filosofico-politico, cioè L’anti-Edipo (1972), Mille piani (1980) e Che cos’è la filosofia? (1991)2.
Il dove, il quando e il come sulla possibilità di produzione del limite assoluto rivoluzionario varia secondo le tappe storiche di sviluppo del capitalismo. Questo è il motivo per cui Deleuze e Guattari, nei loro venticinque anni di collaborazione, hanno dovuto scrivere tre libri di filosofia politica e non uno solo.
Hanno preparato il loro primo libro, L’anti-Edipo, nella seconda metà degli anni Sessanta, quando la linea principale del conflitto era ancora tracciata dall’asse Ovest-Est. Il secondo libro politico-filosofico3, Mille piani, è stato concepito nella seconda metà degli anni Settanta, un periodo in cui l’asse principale si stava spostando da Ovest-Est a Nord-Sud. Per quanto riguarda l’ultimo libro, Che cos’è la filosofia?, è stato scritto alla fine degli anni Ottanta, quando l’asse Nord-Sud era ancora dominante, nel mezzo di una nuova configurazione mondiale che avrebbe cancellato completamente l’asse Ovest-Est.
In effetti, non è esatto dire che Deleuze e Guattari hanno analizzato il capitalismo e le sue fasi di sviluppo come si davano nel momento in cui stavano scrivendo ciascuno dei libri del trittico. Quello che hanno fatto nel loro trittico è stato, piuttosto, tornare ogni volta ad analizzare il capitalismo da zero, dal punto di vista della sua nuova fase di sviluppo, inventando un nuovo insieme di concetti.
Per esempio, entrambi i filosofi collocano gli Stati socialisti in una posizione radicalmente diversa in ogni libro: ne L’anti-Edipo, li presentano come Stati che incarnano il “taglio leninista”, rivoluzionario in termini di interesse di classe; in Mille piani, li considerano come specifici “modelli di realizzazione” dell’“assiomatica” capitalista, cioè del sistema capitalista immanente; e in Che cos’è la filosofia?, non li trattano più in modo specifico, ma li presentano come “stati moderni”, tra gli altri. Non si tratta semplicemente di una modificazione dell’analisi della congiuntura conforme a ogni fase dello sviluppo capitalistico, ma di un aggiornamento congiunturale dell’analisi del capitalismo stesso, dove la sua definizione marxista di sistema immanente rimane invariata in tutti e tre i libri4.
Ogni libro del trittico politico-filosofico di Deleuze e Guattari, sia nelle loro analisi del capitalismo che in quelle sulla produzione del limite ultimo rivoluzionario, è determinato dalla tappa dello sviluppo capitalista osservabile al momento in cui è stato scritto. Ecco perché, in questo saggio, tratteremo ogni libro separatamente, senza mescolare gli argomenti dell’uno e dell’altro, come spesso succede nella letteratura critica sullo stesso corpus di testi. Pertanto, metteremo in evidenza tre diverse versioni della filosofia politica deleuziana-guattariana, e non una sola.
Detto questo, vorrei sottolineare il fatto che, oltre all’analisi della produzione del limite assoluto, c’è anche qualcosa che rimane invariato nei tre libri. In L’anti-Edipo, Deleuze e Guattari scrivono: “crediamo che la società capitalistica possa sopportare molte manifestazioni di interesse, ma nessuna manifestazione di desiderio, che basterebbe per far saltare le sue strutture di base” (AE, 436).
In altre parole, è la manifestazione del desiderio che costituisce il limite ultimo per il sistema capitalista immanente, mentre nessuna manifestazione di interesse, per quanto radicale o rivoluzionaria possa essere, costituisce per esso qualcosa di diverso dal suo penultimo limite e non sfugge al piano del capitale. Questa è la tesi inalterabile di tutto il trittico nelle sue analisi congiunturali delle condizioni di produzione del limite assoluto rivoluzionario, anche se in Mille piani gli autori non parlano più di “manifestazione del desiderio”, ma di “divenire”, e in Che cos’è la filosofia?, quest’ultimo riceverà la sua nuova definizione come un processo che consiste nel “portare all’assoluto” i movimenti di deterritorializzazione immanente relativa, cioè quelli che si attuano nel capitalismo e nella democrazia nazionale.
L’opposizione formulata in termini di “interesse” e “desiderio” in L’anti-Edipo, in termini di “stato” e “divenire” in Mille piani, e in termini di “deterritorializzazione immanente relativa” e “assoluta” in Che cos’è la filosofia? è, dunque, assulutamente fondamentale per le analisi politiche di Deleuze e Guattari. Cos’è questa opposizione? Nella famosa lettera G comme Gauche dell’Abecedario di Gilles Deleuze, un documentario realizzato nel 1988-1989, il filosofo dice qualcosa di molto suggestivo al riguardo:
Cosa vuol dire non essere di sinistra? È un po’ come un indirizzo postale. Partire da sé, la via dove ci si trova, la città, lo Stato, gli altri Stati e sempre più lontano. Si comincia da sé nella misura in cui si è privilegiati, vivendo in paesi ricchi, ci si chiede: come fare perché la situazione tenga? [...] Essere di sinistra è il contrario. [...] Si dice che i giapponesi [...] non percepiscono come noi, ma percepiscono prima di tutto il perimetro. Dunque direbbero: il mondo, il continente, l’Europa, la Francia, la rue Bizerte... io. È un fenomeno di percezione. Si percepisce innanzi tutto l’orizzonte, si percepisce all’orizzonte. [...] Essere di sinistra è sapere che i problemi del terzo mondo sono più vicini a noi dei problemi del nostro quartiere5.
Nel definire cosa significa essere di sinistra, Deleuze stabilisce qui un’opposizione tra due diversi modi di percepire il mondo che rimanda, appunto, a quella a partire dalla quale Deleuze e Guattari sviluppano le loro analisi politiche.
“Partire da sé” è quel fenomeno di percezione che si esprime tipicamente ed esplicitamente, per esempio, nello slogan di Donald Trump, “America first”, o in quello di Jair Bolsonaro, “Brasil acima de tudo”, ma questo non è affatto limitato a questi casi estremi, attraversa tutti i governi, compresi i cosiddetti “governi di sinistra”. Deleuze aggiunge anche: “Non ci sono governi di sinistra”. In effetti, sono proprio i governi socialdemocratici che lavorano maggiormente per gli interessi delle loro rispettive nazioni, mentre i governi (neo)liberali – o “totalitari”, per usare la terminologia deleuziano-guattariana – lavorano per gli interessi del capitale straniero o del mercato mondiale, il che non significa, ovviamente, che i liberali siano di sinistra: essi si identificano con il capitale globale e ne fanno il loro “sé”.
Fino a che punto, d’altra parte, si può sostenere che “percepire prima il perimetro” vuol dire stare dalla parte del “desiderio”? Quando si percepisce prima l’orizzonte e ci si percepisce nell’orizzonte, cioè quando si percepisce sé stessi nel piano di coesistenza immanente con tutti gli altri abitanti del mondo, umani e non umani, presenti e futuri, si entra necessariamente in una lotta contro il proprio interesse personale e il proprio stato o statuto. Deleuze e Guattari chiamano questa lotta “manifestazione di desiderio” in L’anti-Edipo, “divenire” in Mille piani e “deterritorializzazione immanente assoluta” in Che cos’è la filosofia?
Coloro che desiderano contro i loro interessi, coloro che divengono contro i loro stati o statuti, coloro che si sganciano dai loro territori per farsi prendere in un movimento di deterritorializzazione immanente assoluta sono di sinistra. In questo senso, forse non è corretto parlare di “essere” di sinistra. Mentre è possibile non essere di sinistra, non è possibile essere di sinistra, perché la sinistra non è un essere, non è uno stato, ma un divenire, un processo. Esistono solo divenire-sinistra, in cui entrano tutti gli esseri quando si percepiscono sul piano d’immanenza.
Deleuze e Guattari pensano che le lotte di interesse siano inutili per far esplodere gli ingranaggi della macchina capitalista mondiale? Niente affatto. In L’anti-Edipo, ad esempio, affermano: “È sin troppo evidente che la sorte della rivoluzione è legata unicamente all’interesse delle masse sfruttate e dominate” (AE, 433).
Nessun movimento rivoluzionario, nessun processo di produzione del limite assoluto inizia al di fuori di uno stretto legame con le lotte delle masse sfruttate e dominate per i loro interessi economici e politici. Da qui, la questione del dove dell’analisi politica congiunturale in ogni libro del trittico deleuziano-guattariano: quali e dove sono le masse sfruttate e dominate in un determinato stadio di accumulazione del capitale? Dove si sviluppano le lotte di massa interessate e capaci di avviare un nuovo movimento mondiale di lotta contro il capitalismo? Dove inizia la rivoluzione? Deleuze e Guattari identificano queste masse in lotta nei proletari in L’anti-Edipo, nelle minoranze in Mille piani e negli emarginati in Che cos’è la filosofia?
Tuttavia, come abbiamo già visto, le lotte di interesse in quanto tali non producono il limite rivoluzionario ultimo. Il capitalismo sopporterebbe tutte le lotte di massa se non esprimessero altro che interessi. Più avanti, nello stesso paragrafo de L’anti-Edipo, leggiamo: “L’attualizzazione di una potenzialità rivoluzionaria si spiega meno per lo stato di causalità preconscio nel quale è tuttavia compresa, che per l’effettività di un taglio libidinale a un momento preciso, schiza la cui sola causa è il desiderio” (AE, 435).
L’opposizione tra “stato di causalità preconscio” e “taglio libidinale” rimanda a quella tra manifestazione di interesse e manifestazione di desiderio. Ciò che i filosofi sostengono qui è che, se è vero che la potenzialità rivoluzionaria si produce nelle lotte d’interesse delle masse sfruttate e dominate, non è meno vero che essa si attualizza effettivamente quando il desiderio si manifesta in relazione a queste lotte, tagliando fuori la causalità stessa dell’interesse. Così arriviamo alla questione del quando delle analisi politico-congiunturali di Deleuze e Guattari.
Come vedremo nei prossimi capitoli di questo libro, la potenzialità rivoluzionaria si attualizza o si realizza quando i proletari in lotta entrano in un divenire-fuori-classe o in un divenire-schizo (L’anti-Edipo), quando le minoranze in lotta entrano in un divenire-minoritario (Mille piani), o quando gli “uomini”, cittadini dotati di diritti, entrano in un divenire-animale di fronte agli emarginati e alle emarginate in lotta che cadono sotto la repressione statale (Che cos’è la filosofia?). Il divenire-fuori-classe, il divenire-minoritario e il divenire-animale sono tre forme distinte del “divenire-rivoluzionario” che Deleuze e Guattari propongono nelle loro analisi politiche secondo le diverse fasi di sviluppo del capitalismo6.
“Bisogna consumare il muro”
Come si attualizza la potenzialità rivoluzionaria? Come avviene il taglio del desiderio o la “schiza” nella serie causale degli interessi? Come si manifesta il desiderio nelle lotte di massa per interesse (L’anti-Edipo e Mille piani) o di fronte a queste? Come avviene la rivoluzione copernicana della percezione dal “partire da sé” al “percepire prima l’orizzonte”? A questo proposito, la definizione di Deleuze del “creatore” in un’intervista del 1985 è molto interessante:
Un creatore è qualcuno che crea le proprie impossibilità e allo stesso tempo crea il possibile. Come MacEnroe, è sbattendo la testa contro il muro che si troverà qualcosa. Bisogna consumare il muro. Fin quando non si presenteranno un insieme di impossibilità, non disporremo di quella linea di fuga, di quell’uscita che costituisce la creazione, di quella potenza del falso che costituisce la verità7.
Si produce il taglio del desiderio nella causalità dell’interesse erigendo davanti a sé un muro di impossibilità eterogenee: impossibilità di non rivendicare il proprio interesse, impossibilità di rivendicare il proprio interesse tenendo conto di quello degli altri, impossibilità di rispettare l’interesse degli altri senza rinunciare al proprio, ecc.
È un muro problematico, un “problema” assolutamente irrisolvibile nella misura in cui è subordinato alla logica dell’interesse. Deleuze e Guattari chiamano questo problema “potenzialità rivoluzionaria”, una potenzialità “compresa” in tutte le lotte di interesse che le masse sfruttate e dominate intraprendono. “Compresa” perché queste ultime conoscono in carne e ossa cosa sono lo sfruttamento (sotto il capitalismo) e l’assoggettamento (sotto la democrazia nazionale), in modo tale che non vogliono che le loro lotte sfocino in una situazione in cui altri subirebbero, al loro posto, quelle stesse violenze economiche e politiche.
Forse possiamo dire che il problema irrisolvibile in termini di interesse costituisce, di per sé, il limite assoluto per il sistema capitalista immanente, nella misura in cui è il problema che non può risolvere, per quanto espanda i suoi limiti. Tuttavia, il muro problematico in quanto tale è solo il limite assoluto teorico, puramente potenziale, che il capitalismo, di fatto, anticipa ed evoca sempre per mantenere il suo sviluppo. D’altra parte, il limite assoluto pratico o effettivo è piuttosto nella “soluzione” del problema, cioè nella linea di fuga che il muro stesso incita a disegnare davanti a esso. Il problema si risolve solo nelle manifestazioni del desiderio, che rompono la causalità dell’interesse.
La soluzione, necessariamente prodotta in termini di desiderio, è quella che si impone come limite assoluto effettivo al sistema assiomatico capitalista immanente e ai suoi modelli di realizzazione, che sono gli Stati moderni. In breve, il muro delle impossibilità eterogenee in termini di interesse si erge come un potenziale limite assoluto comune al capitalismo e a coloro che lo combattono. Ma se il primo lo anticipa e lo evoca, il secondo lo assume e lo supera invertendo la subordinazione del desiderio all’interesse, generando così un grande movimento di divenire-rivoluzionario (il divenire-fuori-classe, il divenire-minoritario o il divenire-animale, secondo le tappe di accumulazione del capitale), che costituisce il limite assoluto effettivo che il capitalismo non può scongiurare né anticipare.
“Siamo responsabili di fronte alle vittime”
Ovunque nel mondo, ci sono sempre persone o gruppi che entrano in divenire-rivoluzionari e minano uno o più pezzi del sistema capitalista. Ma il divenire-rivoluzionario sgretola il capitalismo nel suo insieme solo quando sussume a sé tutto il mondo, dato che il capitalismo non è un sistema locale, ma un sistema globale o mondiale.
Quello che dobbiamo sapere a questo proposito è che se L’anti-Edipo e Mille piani presentano una prospettiva simile per il processo di generalizzazione del divenire-rivoluzionario, Che cos’è la filosofia? adotta una prospettiva diversa, invertita. In L’anti-Edipo, Deleuze e Guattari sostengono che i proletari in lotta, nella misura in cui non sono si esauriscono nella loro riterritorializzazione su un essere-classe (formazione del proletariato), si deterritorializzano in un divenire-fuori-classe, in cui devono coinvolgere non solo gli altri proletari, ma anche la borghesia; e, in Mille piani, sostengono che le minoranze in lotta, quelle che non si esauriscono nella loro riterritorializzazione su particolari sottoinsiemi della maggioranza (riconoscimento degli statuti), si deterritorializzano in un divenire-minoratario, nel quale devono coinvolgere non solo le altre minoranze, ma anche le maggioranze.
In entrambi i casi, sono le masse sfruttate e dominate che introducono per prime nella causalità dell’interesse un taglio del desiderio al quale si unisce tutto il mondo, nel quale ogni individuo assume come proprio il problema posto inizialmente da quelle masse, un problema che è irresolubile in termini di interesse. Ma, appunto, non è più così in Che cos’è la filosofia?
Come vedremo nel terzo capitolo, ciò che Deleuze e Guattari sostengono nel loro ultimo libro è che non sono gli emarginati, ma gli “uomini” che iniziano il movimento del divenire-rivoluzionario. Coloro che godono pienamente dei diritti umani o di cittadinanza sono i primi a deterritorializzarsi in un divenire-animale, trovandosi di fronte agli emarginati che agonizzano nelle loro lotte sotto la repressione militare e poliziesca.
In Che cos’è la filosofia?, gli autori presentano gli emarginati come “vittime”. È la prima volta nella loro lunga collaborazione che Deleuze e Guattari si permettono di usare il termine “vittima” per descrivere la situazione in cui si trovano le masse sfruttate e dominate.
Chi può controllare e gestire la miseria e la deterritorializzazione-riterritorializzazione delle bidonvilles, se non i poliziotti o gli eserciti potenti che coesistono con le democrazie? Quale socialdemocrazia non ha dato l’ordine di sparare quando la miseria è fuoriuscita dal suo territorio o dal ghetto? [...] Noi non siamo responsabili delle vittime, ma di fronte alle vittime. E per sfuggire all’ignobile non resta che fare come gli animali [...]: il pensiero stesso è talvolta più vicino all’animale che muore che non all’uomo vivo, anche se democratico (CF, 101-102).
Ogni volta che gli emarginati cercano di uscire dai territori loro assegnati (le bidonville, le favela, ecc.) per riterritorializzarsi come cittadini o per essere presi in considerazione tra gli “uomini”, cioè ogni volta che iniziano la loro lotta per interesse, gli Stati moderni, compresi quelli socialdemocratici, li massacrano. E, di fronte agli emarginati così precipitati nella situazione di mere “vittime”, paragonabile a quella di un “animale morente” in agonia, gli “uomini” iniziano un divenire-animali, nella misura in cui si rendono conto che l’“abiezione” che provano per i propri modi di esistenza immanenti non è mai risolta dall’umanitarismo, che è solo complementare alla loro stessa repressione sanguinaria all’interno del sistema assiomatico immanente capitalista (si veda il caso esemplare delle bombe umanitarie complementare alle bombe militari nelle guerre colonialiste contemporanee).
Dobbiamo notare che anche qui c’è un aggiornamento congiunturale dell’analisi del capitalismo: ciò che è inedito è che Deleuze e Guattari ritengono il genocidio delle masse sfruttate e dominate in lotta come una delle funzioni congenite degli Stati moderni come modelli di realizzazione dell’assiomatica capitalista.
Nei due libri precedenti, il capitalismo non è mai stato presentato come un sistema genocida. Se i filosofi, in Che cos’è la filosofia?, hanno aggiornato così la loro analisi del capitalismo, lo hanno fatto proprio dal punto di vista della nuova tappa dello sviluppo capitalista che potevano osservare mentre stavano scrivendo, cioè quella del crollo del socialismo reale: la scomparsa dell’asse di conflitto Ovest-Est ha lasciato in piedi solo l’asse di sfruttamento e dominazione Nord-Sud.
In Mille piani, i filosofi avevano affermato: “La potenza di minoranza, di particolarità, trova la sua figura o la sua coscienza universale nel proletariato” (MP, 646). Se gli emarginati sono una “particolarità”, lo sono però in un nuovo ordine mondiale, in cui la figura stessa del “proletario” – o, meglio, del “proletariato” – è in crisi profonda e irreversibile, tanto che non si offre più come potenza “universale” alle particolarità sfruttate e dominate in lotta.
Attraverso il loro trittico filosofico-politico, Deleuze e Guattari propongono un’unica strategia per rovesciare il capitalismo, quella del divenire-rivoluzionario del mondo intero, e tre tattiche distinte per perseguire questa strategia, cioè il divenire-fuori-classe, il divenire-minoritario e il divenire-animale.
Se per Deleuze e Guattari essere fedeli a Marx consisteva nell’analizzare il capitalismo come sistema immanente e farlo nei termini del suo sviluppo storico, essere fedeli a Deleuze e Guattari per noi consisterà nel porre il divenire-rivoluzionario di tutto il mondo come strategia immutabile per la rivoluzione e nell’analizzare quale sarà la nuova tattica corrispondente allo stadio di sviluppo capitalista osservabile nel momento che stiamo vivendo, tenendo presente che sono passati quasi trent’anni, un tempo più lungo di quello della collaborazione deleuziano-guattariana, dalla pubblicazione di Che cos’è la filosofia? Il presente saggio farà sua questa fedeltà ai due filosofi francesi.