28.04.2024
Il testo che segue è la Nota introduttiva al volume Altri spazi a cura di Ludovica Fales e Viviana Vacca edito da Ombrecorte.
Nota introduttiva
Con l’obiettivo di riunire, all’interno di uno spazio espositivo e performativo come il Centro Pecci di Prato, artisti visuali, performers, ricercatori nell’ambito di media studies e nuove tecnologie e filosofi per discutere su come lo spazio pubblico contemporaneo possa e debba essere ripensato tra arte e immaginazione politico-sociale, il laboratorio Other Spaces ha affrontato, in un biennio, l’esplorazione della spazialità dal punto di vista del rapporto tra materiale e digitale con l’intenzione di cogliere gli elementi generativi di una trasformazione ma anche le contraddizioni.
Il primo anno, chiusi negli schermi delle nostre case diventate improvvisamente troppo strette, ci eravamo poste la questione di come noi, users di una massa di informazioni enorme, ad un livello secondario, terziario di immediatezza rispetto a eventi specifici, interagiamo con e attraverso il digitale, immersi nel cortocircuito semio-pragmatico che comporta un utilizzo dei media in modo generalizzato e spesso inconsapevole rispetto alle sue reali implicazioni, in relazione tanto allo spazio comunicativo che si genera, quanto al tipo di narrazioni che, all’interno della circolazione di dati, si strutturano. Un mondo sempre più multimediale e interdisciplinare, dismediatizzato (a cui viene sempre più a mancare la figura del mediatore) e la cui difficoltà di comprensione è legata anche all’evoluzione del contesto digitale come “ecosistema trasformativo, adattivo e reattivo”. Nel suo insieme, infatti, sembra diventare un elemento radicato nella creazione di caratteristiche narrative non lineari, creando uno scambio tra l’utente e la piattaforma digitale e mostrando dinamiche di super-stratificazione dei nuovi media in relazione alla narrazione, alla creazione e alle forme di ibridazione. Sembrerebbe un passo avanti nella direzione, già indicata dalle piattaforme interattive, di quella “vita” oltre lo schermo, che entra nello spazio ibrido tra offline e online, ovvero un insieme di esperienze mediali che sembrano implicare un elemento di feedback e, dunque, una partecipazione dell’utente alla natura aperta dell’esperienza. Nel corso del secondo anno, invece, la riflessione intorno allo spazio in relazione alla dimensione dell’alterità ha coinvolto sia i modi della presenza e della partecipazione nella dimensione pubblica ma anche quelli di un privato nel quale il posizionamento radicale sul margine – secondo l’insegnamento critico di bell hooks – consente di riformulare nei termini di una teoria politica attiva il ruolo che le metodologie auto-biografiche, le pratiche artistiche e quelle di vita in comune possono rivestire nell’attuale scenario contemporaneo. D’altra parte, tra le svolte che hanno caratterizzato il xx secolo, quella della spatial turn ha messo al centro della riflessione teorico-politica lo spazio in quanto vettore sincronico di collegamento tra discipline e saperi differenti ridisegnando le mappe geografiche, cognitive, emotive attraverso le quali i corpi si muovono nella trama relazionale degli incontri. È il rifiuto di un tempo eternamente presente a lasciare il posto a uno spazio liscio ribaltando il rapporto tra centro e periferia sia negli spazi urbani che in quelli globali. Seguendo le riflessioni di Fredric Jameson e David Harvey, la configurazione globale del capitalismo è sia concentrata che diffusa e l’emergere della riflessione sulle scelte di posizione è l’occasione per osservare gli spostamenti che interessano soggettività decentrate e non monologiche. L’eterogeneità e la frammentazione sono indicatori della scelta dei contributi che compongono questo testo alla maniera di un quaderno di notazioni, uno strumento che rechi traccia di riflessioni teoriche e di esperienzie artistiche e sociali. Voci in dialogo con il post-strutturalismo e il postmoderno, la teoria critica e il pensiero decoloniale ed esperienze che coinvolgono la fotografia, l’inchiesta sociale e il racconto e diventano spazi costituenti di trasformazione attiva. A partire da Gunther Anders, Ubaldo Fadini si interroga intorno agli spazi perduti dello scarto, della mancanza per delineare spazi altri dell’affettività in cui le soglie d’intensità diventano indicatori della possibilità di trovare nuovi modi di abitare che non chiudano i giochi sempre aperti delle intelligenze e delle sensibilità. L’immaginazione è, dunque, facoltà protagonista che non trascura l’imprevedibilità e la fragilità di quella natura umana sospesa tra i processi di artificializzazione e quelli di accelerazione a livello tecnologico, sociale e mentale. In dialogo con il postmoderno e attraverso la lente del cyberfemmismo, Stefania Mazzone riflette sui rapporti politici che emergono nelle sperimentazioni visuali della casa editrice ShaKe. La scena underground milanese dei centri sociali degli anni Settanta – da Calusca di Primo Moroni a Virus e Cromosoma X – è la genealogia trasformativa che fa del cyborg l’operatore che decostruisce natura e cultura e abolisce il genere femminile e singolare. Tra Haraway e Butler fino al tecno-femminismo, il corpo è lo spazio di risignificazione materiale che rifiuta qualsiasi logica di opposizione e destruttura i linguaggi espressivi. Oltre lo sguardo medico che separa e definisce, l’umano è quello spazio eterotopico che, secondo la definizione di Foucault, Viviana Vacca rintraccia a partire dalle pratiche di Fernand Deligny con i bambini autistici. Pratiche politiche che sono l’occasione per riflettere sulle modalità di vita in comune e sul ruolo che le immagini della fotografia e del cinema hanno nei processi di riconoscimento dell’alterità, coinvolgendo le forme della scrittura e del genere autobiografico. Spazi altri di narrazione di sé, oltre il linguaggio verbale. Nella messa in discussione della metafora progressiva della coesione sociale, Ludovica Fales costruisce un’etnografia come esercizio di autoriflessione intorno a Lala, film ibrido tra finzione e documentario. Lo spazio di comunicazione diviene spazio inter-generazionale attraverso il quale far emergere le ferite, i traumi di una storia- personale e collettiva- che mettano in discussione i regimi discorsivi tradizionali, svelando le contraddizioni della gestione del diritto di cittadinanza. Il ruolo determinante del medium è, nel contributo di Nicolas Martino, capace di risignificare il nostro rapporto con il mondo da un punto di vista cognitivo. La rivoluzione digitale non è lo sfondo ma piuttosto lo spazio nel quale si aprono le sfide per la formazione artistica. Seguendo Simone Rinaldi, gli spazi digitali sono stati conquistati dalla guerra e dai conflitti contemporanei, nel superamento della dicotomia tra realtà e rappresentazione e nelle forme pericolose del controllo delle informazioni sulle quali diventa sempre più difficile stabilire il discrimine tra narrazione falsa e narrazione veridica. Un discrimine che è colto anche da Serafino Murri che si concentra sul rapporto tra spazio digitale e possibilità, per quello che definisce spazio antropico, di farmacologie positive in grado di recuperare senso individuale e collettivo e da Nicole Braida che ribadisce il ruolo politico del counter mapping analizzando le visualizzazioni dei dati dei femminicidi in base al lavoro svolto dal collettivo Non una di meno. Il valore sociale e politico dell’inchiesta, dunque, è metodologia necessaria al cambiamento in relazione ai vissuti personali e collettivi di contesti rurali. Giulia Caruso ricostruisce le fasi del laboratorio che hanno portato alla mostra Comizi d’Amore a Mazzarino, comune in provincia di Caltanissetta, e le trame narrative e fotografiche che hanno dato voce a storie di una comunità al femminile. Attraverso l’arte del ricamo come strumento di auto-rappresentazione che si emancipa dallo sguardo maschile, le donne costruiscono spazi altri di partecipazione nei quali la narrazione si è liberata dal dominio patriarcale. La fotografia non è forma artistica strumentale ma è agente politico attivo, nel recupero del dettaglio ai margini della visione e trascurato negli spazi metropolitani secondo l’infra-ordinario di Manel Pons Romero ma anche in Dignità è riconoscimento. Lo spazio liscio della fotografia, il manifesto che Davide Casella scrive vista la sua esperienza all’interno di Gerta Humans Reports, agenzia e scuola sperimentale di fotografia umanistica e sociale catanese. Decostruito il falso mito della sacralità, dignità è nei corpi e nei volti dei profughi, dei senza dimora, dei diversi e dei non conformi e in quelli senza nome dei migranti, vittime di naufragi dei quali siamo spettatori senza vergogna.
In appendice, l’esperimento narrativo del collettivo AtiSuffix è sperimentazione di una perfomance tra spazio e letteratura, un plot che arriva dal 2025, data di un probabile allunaggio.
Indice del volume