Alla soglia dell’immagine di Andrea Pinotti
Raffaele Santoro

19.11.2021

Quando al museo, catturati dalle forme e dai colori del dipinto, una luce artificiale si infrange sulla tela e ci ricorda che siamo davanti ad una quadro; oppure al cinema, se intenti – immersi – nella visione di un film, veniamo distratti dalla luce verde dell’uscita di emergenza siamo chiamati ad una consapevolezza, a volte perturbante e traumatica, ma dai tratti ben precisi. In questi e in tanti altri casi legati alla fruizione di immagini lo scarto, la cesura o l’interferenza di elementi terzi che si frappongono tra noi e l’immagine ci persuadono a prendere atto dello statuto iconico dell’oggetto osservato.

A ben vedere, ci comportiamo esattamente come Narciso davanti alla propria immagine riflessa. Certo, a noi basterà posare lo sguardo sui bordi della cornice – se siamo al museo – o interrompere la visione dello schermo cinematografico, per guardare l’ora sul nostro smartphone, e ci renderemo subito conto dell’inganno. Eviteremo così di piangere sul medium iconico, come invece è costretto a fare il protagonista ovidiano in grado di risvegliarsi dall’incantesimo del medium soltanto dopo aver infranto, con le lacrime, la superficie d’acqua riflettente.

Pertanto, che si tratti di un’immagine statica o in movimento, il nostro ruolo di spettatori oscilla sempre tra due polarità antitetiche: la consapevolezza e l’inconsapevolezza della rappresentazione in quanto finzione, mise en abyme, immagine-di-qualcos’altro.

Ma cosa accade quando l’immagine si fa ambiente e ci permette non soltanto di collocarci a 360 gradi al suo interno, bensì di interagire con essa, riceverne feedback e modificare i suoi esisti narrativi?

Partendo da tali suggestioni, Andrea Pinotti nel suo ultimo libro “Alla soglia dell’immagine. Da Narciso alla realtà virtuale” (Einaudi, Torino 2021) si confronta con gli ambienti immersivi virtuali nel tentativo di sistematizzare – in maniera compiuta rispetto a quanto fatto sinora (Cfr. Pinotti 2020) – le questioni legate alle nuove tecniche di produzione e fruizione delle immagini. Un compito affrontato da una specifica prospettiva che l’autore definisce «an-iconologia».

In altri termini, uno studio incentrato su quel genere di immagini che pur essendo tali tentano, con strategie dal sapore quasi paradossale, di negare se stesse ed il proprio statuto iconico: si tratta delle cosiddette an-icone.

A debita distanza sia da sentimenti tecnofobici che dall’euforia dei tecnoentusiasti, Andrea Pinotti cerca di analizzare l’innovativo e misterioso mondo della realtà virtuale (VR) partendo da un’inconfutabile consapevolezza: gli ambienti immersivi virtuali, come pure il modo attraverso cui ne facciamo esperienza, investono l’immagine di un nuovo statuto iconico.

Confrontandoci con le moderne tecniche e strategie di image making, non siamo però lasciati completamente in balia di caschi, occhialini e attrezzature varie. Come suggerisce l’autore possiamo, invece, partire da alcuni punti fermi che ci aiuteranno da una parte a cogliere i meccanismi attraverso cui tali raffigurazioni si manifestano ai nostri occhi, dall’altra a comprendere le antiche problematiche in cui le sperimentazioni “virtuali” affondano le proprie radici.

Indossare i visori e muovere i primi passi nella realtà virtuale implica da subito un principio di scambio che si palesa nei termini di un’acquisizione, ma anche di una perdita. Infatti, se è vero che il nostro stare dentro l’immagine ci permette di spaziare – come si diceva – a 360 gradi nell’ambiente circostante; è altrettanto vero che questo ci obbliga a rinunciare a quella capacità del nostro occhio che rende possibile l’operazione di riconoscimento e distinzione tra ciò che è immagine e ciò che, invece, immagine non è.

Oppure, se preferiamo, tra quanto è finzione e quanto è, invece, reale.

Questa prima caratteristica, detta scorniciamento, è strettamente collegata ad un ulteriore elemento che emerge rinegoziato dalle pratiche virtuali: la presenza.

Un concetto da intendersi nei termini di incursioni bidirezionali tra l’interno e l’esterno dello spazio, sia esso virtuale oppure reale. Basti pensare al being there dello spettatore – che si colloca all’interno della sfera deputata alla rappresentazione – ma anche alla possibilità di reperire immagini proiettate direttamente all’interno di quel luogo che, convenzionalmente, definiamo realtà.

Si delinea in maniera più nitida, dunque, quella “soglia” di cui l’autore parla sin dal titolo e in cui si instaura un continuo scambio tra la sfera iconica ed extra-iconica.

Affinché le immagini virtuali possano davvero collocarsi sul ciglio di questa ipotetica soglia facendo precipitare la nostra capacità di scernere tra il dentro e il fuori iconico, come spiega Andrea Pinotti, è necessario aggiungere ai concetti di scorniciamento e di presenza una terza peculiarità: l’immediatezza. Ottenuta, quest’ultima, attraverso un massiccio impiego di mediazioni tecnologiche di natura complessa.

Pertanto, attrezzature di ultimissima generazione come visori, caschi ed altri dispositivi, una volta indossati, inseguono il fine ultimo di occultare e celare l’invadente presenza del medium restituendo allo spettatore – o meglio ancora all’experiencer – un’immediatezza che nega qualsivoglia mediazione tecnologica. Tanto che, riprendendo le parole di Pinotti, il concetto di «virtualità passa per uno sforzo di trasparentizzazione del medium» (p. 165); in un meccanismo di funzionamento delle immagini che assume carattere trans-mediale – dunque reperibile quale costante di più medium – e che porta la cornice, lo schermo e – oggi – il visore ad un gesto di ammutinamento del sé: di autonegazione.

Questo gioco delle parti dai tratti paradossali culmina nell’impossibilità dell’occhio umano di riconoscere la natura mediata e rappresentazionale dell’immagine di fronte a cui si trova; permettendo, dunque, agli ambienti virtuali di produrre immagini che assolvono, efficacemente, alla propria negazione: alla propria aspirazione an-iconica.

A ben vedere però i tre concetti in grado di guidarci nell’esplorazione delle realtà virtuali (scorniciamento, presenza e immediatezza), non sono del tutto estranei agli studi visivi; anzi, al contrario, potremmo dire che si presentano quali peculiarità rintracciabili all’interno della storia delle immagini tout court. Familiarità che Andrea Pinotti ricostruisce dettagliatamente servendosi di numerosi casi di studio.

Sembra, infatti, esserci un filo conduttore che attraversa l’intera storia delle immagini: affondando le proprie radici nel mito, riemerge a più riprese nel trompe-l'oeil, nel Kaiserpanorama, nella chimera del cinema totale e in altri dispositivi ottici, giungendo sino ai nostri giorni e incrociando, finalmente, i nostri occhi. Un motivo costante, dunque, dai lineamenti antichi e segreti in cui le immagini e le loro tecniche di produzione tentano di varcare la soglia dell’iconico per farsi extra-iconico: fuori-immagine.

«Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che al momento attuale non è ancora in grado di soddisfare» (Benjamin 1935-36, p. 44). Walter Benjamin, acuto teorico, aveva già visto questo sogno – dell’immagine e, insieme, dell’uomo – il cui principio si perde nelle nebbie del mito e che ogni epoca cerca di soddisfare con i mezzi tecnologici a propria disposizione.

Così, nella nostra contemporaneità gli ambienti virtuali ci restituiscono questa tensione che porta all’incapacità di relativizzare la messa in scena dalla realtà, l’iconico dall’extra-iconico, la finzione dalla verità; mentre noi, come novelli Narciso, ci immergiamo inconsapevoli nei limiti dell’immagine e dell’umano stesso.


  • Benjamin, W., 1935-36, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” in Id. Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, A. Pinotti, A. Somaini (a cura di), Einaudi, Torino 2012, pp. 17-49.

  • Pinotti, A., 2021, Alla soglia dell’immagine. Da Narciso alla realtà virtuale, Einaudi, Torino.

  • Pinotti, A., 2020, “Dal fuori-cornice al fuori-schermo. La sfida degli ambienti immersivi e l’an-iconologia” in M. Carbone, A. C. Dalmasso, J. Bodini (a cura di), I poteri degli schermi. Contributi italiani a un dibattito internazionale, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), pp. 135-146.