A favore dei libri a tema
Matteo Gaspari
Arte, perché? © Eleanor Davis, 2018, per l'edizione italiana © add editore, 2021

16.07.2022

Verrebbe da chiedersi, soprattutto in questo periodo di surrogati utilitaristici della letteratura, perché non ci sia una parallela proliferazione di fumetti a tema ma di quelli veri. Cioè di saggi, quintessenza del libro a tema ma unica istanza davvero onesta e “letteraria” di quell’utilitarismo odioso in ogni altra forma, soprattutto qualora trovi il suo senso non nella chiarezza o nella mera efficacia espositiva ma nel rigore e nel valore formale a supporto dell’esposizione.

Credo che l’assenza di una vera e propria saggistica a fumetti derivi almeno in parte dalla giovinezza del linguaggio, che sta giusto di recente e con una certa timidezza provando ad emanciparsi dalla “forma romanzo” che l’aveva fatto emergere dal pantano di pregiudizio in cui versava. E se da un lato è vero che gli esperimenti con il fumetto di poesia e con il fumetto astratto si fanno via via meno rari, così come una progressiva ibridazione mette in luce possibilità nuove, è anche vero che a lungo l’elemento cardine del fumetto – lo spazio bianco che separa le vignette – è stato inteso in termini puramente sequenziali e sottintendeva nessi causali, temporali o al più spaziali. In questo senso, forse il salto verso quello che chiamiamo fumetto di poesia, nel quale la sequenza diluisce il suo portato narrativo in favore di una semantica emozionale meno esplicita sostenuta dalla giustapposizione di immagini scorrelate da un punto di vista meramente logico-temporale, è relativamente più breve del salto verso un fumetto del tutto non narrativo e anzi insistentemente argomentativo.

Non a caso la maggior parte di quello che definiamo saggio a fumetti, o più spesso “fumetto di divulgazione”, usa ogni sorta di artificio narrativo per portare avanti il proprio discorso. Penso agli interessanti Neurocomics e The senses di Matteo Farinella (il primo in coppia con Hana Ros), nei quali a sostenere la divulgazione è la metafora di un viaggio narrativamente letterale all’interno del corpo umano; a ERCcOMICS dove nei casi meglio riusciti (ma più oscuri, come nel Max Order di François Pachet e Fiammetta Ghedini) la ricerca scientifica passa per meccanismi meta-linguistici ma più spesso è “semplicemente” narrativizzata, come nel comunque notevole Fabula di Michael Bronstein, Francesco Guarnaccia e Lorenzo Ghetti; o ancora a Non è mica la fine del mondo di Francesca Riccioni e del compianto Tuono Pettinato, nel quale è la premessa narrativa stessa della gita turistica a giustificare la presenza dello spiegone.

A leggere questi titoli, che ho deliberatamente scelto scartando i lavori più superficiali proprio perché tentativi di scrivere fumetti-saggio che fossero in primis dei buoni fumetti nel loro aspetto estetico formale prima che nell’intento utilitaristico, viene da pensare che si può fare di meglio e spingere ancor di più sul pedale della non-narratività. Trovare insomma il modo di esplorare e sfruttare le peculiarità grammaticali del fumetto per fare della saggistica “vera”. Ci hanno provato con buon successo i manuali sul fumetto a fumetti – come Fare fumetti di Davide Toffolo o la seminale trilogia di Scott McCloud –, ma soprattutto ci ha provato Nick Sousanis, che nel 2015 pubblicava con Harvard University Press Unflattening, la sua tesi di dottorato. Il libro sarebbe poi stato tradotto con sottotitolo Il pensiero visuale e la scoperta della mente grafica da Lavieri (guarda te la vita a volte…), nel 2018.

Nota bene, Unflattening non è la riduzione a fumetti della tesi accademica di Sousanis ma la tesi stessa, che mira a esplorare la centralità dell’aspetto visivo nei nostri processi cognitivi e di conseguenza la posizione privilegiata del fumetto quanto linguaggio ibrido dalla predominante componente visuale. In un certo senso, quindi, anche questo è almeno in parte un saggio sul fumetto a fumetti, ma in maniera più laterale e stratificata di quanto non lo fossero i già citati lavori di Toffolo e McCloud.

È un esperimento notevolissimo che non teme di far ampio uso di pratiche fumettistiche desuete come la didascalia, qui ricontestualizzata e riportata al massimo splendore in questa nuova luce argomentativa, un titolo in cui l’immagine funge da meta-esempio dell’esplorazione saggistica da essa stessa sottesa. Ma soprattutto è un titolo faticoso, nel senso più alto e generativo del termine. Leggerlo richiede un costante lavoro di astrazione, quasi di autocontrollo, necessario per approcciarsi a una serie di pagine che si discostano con radicalità dai meccanismi usuali della lettura a fumetti pur preservandone i fondamenti grammaticali: le possibilità dello spazio bianco sono sempre le stesse, la sua capacità di sottendere nessi logici anche, ma ora il salto tra due vignette si fa pura argomentazione e le coppie di riquadri mostrano non una sequenza anche solo superficialmente narrativa ma, per fare un esempio, i micro-movimenti dell’occhio e l’immagine da quell’occhio osservata che poco alla volta si compone. Qualche striscia dopo, ecco la Gioconda.

Ripenso ad Unflattening e mi dico che questa è certo la più ostinata e radicale istanza di saggistica a fumetti in cui mi sia imbattuto, che forse anche per il suo essere così estremo ha aperto una via che poi nessun altro o al limite pochi altri hanno provato a seguire seguito. Mi trovo anche a pensare che forse il linguaggio è pronto ma il lettorato no: il lavoro di Sousanis ha se non altro il merito di dimostrare che “si può fare”, che la natura ibrida del fumetto può sostenere l’argomentazione senza metafore narrative né scendendo nell’infografica, ma che il risultato è nel migliore dei casi faticoso forse più della saggistica scritta dalla quale, bene o male, sappiamo cosa aspettarci e siamo abituati a estrarre informazioni attraverso un sistema grammaticale (e formale) con il quale familiarizziamo fin dalla scuola dell’obbligo. E allora penso anche che magari, senza andare nella narrativa tematica, si può provare con una via di mezzo.

Qualche tempo fa ho avuto l’onore di pubblicare in italiano quello che credo essere uno dei fumetti – pur in un’accezione ampia del termine – più rilevanti degli ultimi anni. Si intitola Arte, perché? ed è, come si può intuire con facilità da un titolo in cui l’arte è tanto vocativo quanto complemento oggetto, una riflessione in sé puramente argomentativa sul senso profondo dell’arte. Riflessione sì argomentativa, ma anche ironica e scanzonata, veicolata attraverso una metafora finto-narrativa ben più raffinata e meno sfrontata di quelle proposte dai titoli citati sopra (il viaggio letterale all’interno del copro umano per spiegare i cinque sensi, o la gita turistica sulla Terra devastata per raccontare le cause e gli effetti della catastrofe climatica). D’altro canto l’autrice, Eleanor Davis, è una delle più fini fumettiste del panorama contemporaneo e sa piegare il linguaggio ora al racconto breve, ora al romanzo, ora al diario o – come in questo caso – alla saggistica con finezza notevole.

Ecco Arte, perché?, nella traduzione italiana di Elisabetta Mongardi, si apre con un’affermazione preliminare che, credo, ben esemplifica tanto la natura ibrida del libro quanto il livello di complessità dell’argomentazione, che poggia tutta sul lato estetico formale e quasi per niente sulla sequenza di informazioni e ragionamenti proposta. Il libro si apre con un preludio che è quindi, in questo senso, anche chiave di lettura dell’intero volume. “La categoria più essenziale di un’opera, naturalmente, è il colore”. Giro pagina e ci sono degli esempi disegnati: “opere arancioni” e “opere blu”, e poi ancora “elementi blu e arancioni insieme”. Solo che i disegni sono tutti in bianco e nero.

Il messaggio è chiaro: la categoria più essenziale per un’opera d’arte non è certo il colore e la voce narrante, alla quale attribuiremmo di default la responsabilità di portare avanti l’argomentazione, mente. Mente nonostante la sua presupposta affidabilità, supportata dal suo parlare in un bel carattere graziato tutto ordinato e vagamente serioso che pure coccia con la scelta delle parole, spesso tra il serio e il faceto, tra il pomposo e il deliberatamente superficiale. Già da queste primissime pagine esce quindi non solo una (preliminare) riflessione formale sull’arte, su quali siano gli elementi definitori e quindi interpretativi che distinguono un’opera dall’altra, ma anche un altrettanto preliminare esplicitazione delle possibilità argomentative del fumetto, che escono qui dal rapporto di sfida che intercorre tra testo e immagine e, più avanti, dal rapporto tra voce narrante e personaggi e soprattutto tra personaggi e oggetto del discorso che si riflette in una relazione via via più simbolica tra lettori e oggetto libro (che è a sua volta un’opera d’arte).

È insomma un’esplorazione a tutto tondo, nascosta sotto una superficie ironica e poi progressivamente narrativa, ma che nutre la sua natura argomentativa solo in parte con la sequenzialità di informazioni e molto di più con tutto il suo apparato estetico-formale: le differenze di lettering tra voce narrante e dialoghi dei personaggi, la contrapposizione spesso esplicita tra contenuto del testo e contenuto della “controparte visiva”, le stesse piccole dimensioni dell’oggetto libro che mimano i piccoli portaombre – minuscole opere d’arte in cui i protagonisti si rifugiano per scampare alla catastrofe e scoprirsi demiurghi letterali e simbolici, osservatori e creatori, artisti attivi e al contempo semplici veicoli di una forza creativa che prescinde la loro esistenza e che pure senza il loro agire non potrebbe manifestarsi. Una forza che, punto finale dell’autrice, non può che essere salvifica nella più pura e iperuranica delle accezioni del termine.

Tutto questo sta dentro un librino piccolo piccolo nel quale argomentazione e narrazione si fondono ammantate da un velo perenne d’ironia, in cui il narratore è inaffidabile e proprio nella sua inaffidabilità fa germogliare il portato filosofico del testo, in cui ogni elemento – dal dato oggettuale alla scelta lessicale – contribuisce a dirigersi verso una meta che emerge sensata solo in virtù del viaggio percorso per raggiungerla. Insomma, la saggistica di Arte, perché? ritorna ad essere una questione linguistica, estetica, formale. Non subordina, cioè, il proprio tema al modo in cui lo esplora. Che è più di quanto si possa dire ti tanta “letteratura” utile.