Sul saper vivere. A partire da Jacques Rancière
Valentina Chianura

28.01.2023

Attualmente temi come la scuola, l’assistenza scolastica, l’educazione, i diritti e i doveri da rispettare in ambito formativo, sono al centro di intensi dibattiti di carattere anche politico, con il rinvio conseguente a proposte di segno legislativo che, se ben ordinate e dunque diversamente formulate da come lo sono oggi, potrebbero forse portare ad avere un quadro comune e di maggiore chiarezza rispetto allo sviluppo delle conoscenze e competenze ritenute indispensabili allinterno di una società complessa come la nostra.

Facendo un passo indietro, alcuni dei tratti specifici di una politica d’emancipazione effettiva intesa come rottura, esterna o in eccesso, rispetto a determinate politiche istituzionali, richiamano molti studiosi che si muovono in unottica pedagogica, tra i quali mi sembra che spicchi Jacques Rancière, con il suo testo Il Maestro Ignorante, che mette originalmente in risalto il nesso essenziale di saperi e poteri proprio per ciò che riguarda il senso complessivo dellagire formativo.

E’ partendo dalla lettura del libro di Rancière e proiettando aspetti del suo pensiero sul presente che si possono riprendere temi e problemi ormai sempre più dibattuti in relazione ai succitati cambiamenti ideologici/politici. Almeno così mi è parso di osservare, dato che vi è appunto un continuo e direi “repentino” cambiamento complessivo di segno socio-politico-culturale che si riversa non sempre positivamente in ambiti educativi. Tornando dunque al collegamento con Rancière, cè da ricordare come questultimo volesse cogliere e raffigurare – pure ricostruendolo nelle pratiche e nel tempo – un legame sociale sui generis proprio di un individuo specifico e del suo mondo, sviluppando sempre più una pratica intellettuale basata sull’istantaneo riconoscimento dell’eguaglianza, capace di rivoluzionare le tecniche pedagogiche e di modificare lo status politico ed educativo della mente.

Ho provato a farlo partendo da uno dei suoi temi principali, che richiamo volentieri, per esplorare parti di un pensiero dell’emancipazione educativa/intellettuale tutt’ora centrali per certi aspetti: riconoscere e sapere. Il nodo teorico sul quale vorrei soffermarmi si riferisce ad un interrogativo per così dire “classico”, spesso ancora presente in tanti dibattiti: come possiamo far sì che il soggetto riesca realmente ad apprendere nel senso di una trasmissione/acquisizione di saperi che valga anche come trasformazione individuale e collettiva? Certo è che tale soggetto deve essere in grado in un qualche modo di palesare proficuamente le proprie abilità e conoscenze, sostenendo così delle pratiche educative nelle quali si attivino in primo luogo attenzione e curiosità. Il soggetto deve saper collocarsi dinamicamente nei processi di apprendimento, favorendo tutto ciò che culturalmente (e anche socialmente/politicamente) può sostenere tale cammino, evitando il pericolo della destabilizzazione senza esito dei suoi assetti e delle sue configurazioni.

Bisognerebbe provare a superare le proprie incapacità, riuscire in qualche modo, se volessimo riprendere anche il pensiero di Joseph Jacotot, a dirsi potenzialmente capaci di ciò di cui normalmente risultiamo non capaci. Le tante sfaccettature educative che si presentano nel nostro quotidiano, ancor più visibili ovviamente nelle istituzioni scolastiche, devono far accrescere nell’individuo la consapevolezza di saper esplorare le conoscenze istituite/formalizzate, stimolando così la trasposizione attenta e “accurata”, di valore “pratico”, delle proprie rielaborazioni concettuali allinterno di processi di apprendimento effettivamente stimolanti e soddisfacenti.

Insegnare infatti, per Rancière, vuol dire trasmettere delle conoscenze e formare dei soggetti conducendoli, secondo una progressione ordinata, dal più semplice al più complesso. L’atto essenziale del “maestro” consiste nello spiegare, nellestrarre gli elementi semplici delle conoscenze e accordare la loro semplicità di principio alla semplicità di fatto che caratterizza gli “spiriti giovani” ed “ignoranti”, per dirla sempre con la peculiare terminologia adottata dal filosofo francese.

Di questultimo si può anche dire che la sua riflessione apre alle dimensioni della pluralità e della singolarità nella stessa dinamica della formazione dei soggetti, sottolineando come il processo dellemancipazione abbia un suo riferimento imprescindibile pure in quell’insegnamento rivolto a indicare e rimarcare la presenza del tutto positiva di una pluralità inesauribile di modi di pensare e di sentire.

Nellistruzione moderna si presume che sia sempre più ridistribuita equamente la conoscenza tra individui (anche di classi sociali differenti) e che la trasmissione il più possibile diffusa dei saperi continui ad essere per il futuro un obiettivo da perseguire con risolutezza. Non sarebbe poi sbagliato pensare anche a pratiche di auto-formazione dei soggetti che possano sfociare in forme di approccio differenziato ai vari piani del reale”, per favorire così lo sviluppo di una proposta costruttiva e di un metodo che incoraggi l’individuo ad accrescere autonomamente, almeno in parte, le proprie conoscenze e competenze.

Questa modalità di trasmissione di saperi, condivisa da Edgar Morin (per come intendo la ricerca di taglio pedagogico dellautore di Insegnare a vivere), dovrebbe essere pensata e realizzata per una riforma del sistema dell’istruzione che sia propriamente tale, vale a dire non compromessa a causa di una confusione di ordine teorico e pratico – ad essere “buoni” – che riguarda tutti gli ambiti specifici (e la loro stessa raffigurazione) del sistema complessivo dellistruzione. Anzi, una trasformazione concretamente produttiva dell’istituzione educativa, articolata nel senso di una effettiva sottolineatura della rilevanza della dimensione etica e dei fattori socio-culturali, dovrebbe avere come supporto la delineazione di un progetto che pone risolutamente al centro la “cura” particolarmente attenta sia della qualità epistemologica sia della componente etica.

E ciò al fine di favorire trasformazioni reali dell’intelligenza e della sensibilità e una migliore condizione del saper vivere generale. Ho iniziato questo mio contributo mettendo in evidenza alcuni elementi del pensiero di Rancière, quelli di valenza immediatamente educativa, e mi sono poi rivolta anche verso altri studiosi (Morin), perché risulta ancora più decisivo nella nostra società complessa stimolare pratiche di cambiamento reale delle nostre teste”. Sarebbe cioè particolarmente opportuno puntare ad innovare il pensiero critico nella complessità delle sue voci” e ricercare tutto quello che è in grado di rafforzare lidea che la riformulazione dei processi di produzione, di segno cooperativo/collaborativo, e di condivisione di saperi sia imprescindibile.

Resta fondamentale evidenziare, dunque, l’importanza del sapere costitutivamente sociale e la trama di capacità/abilità, pure di “risposta”, con cui ogni soggetto può riuscire nel corso della sua vita a conoscere e apprendere in qualsiasi tipologia di contesto.