La società della tecnica e la libertà no-vax
Stefano Righetti

05.12.2021

In un testo del 1941 dal titolo Some Social Implications of Modern Technology, e poi in due testi di vent’anni successivi (From Ontology to Technology e The Problem of Social Change in the Technological Society) Marcuse affrontava il tema del complesso rapporto tra tecnologia e tecnica, e del suo possibile sviluppo "positivo", aprendo a un’evoluzione emancipativa di questo rapporto, che avrebbe poi avuto larga risonanza nella cultura degli anni 60 e 70, così come in alcune teorie della liberazione all’interno e per mezzo della comunicazione, quali si sono poi sviluppate (non senza ingenuità) negli anni 90, e com’è possibile leggere per esempio in Flusser – ispiratore, per molti versi, di un’idea di democrazia della rete e di una trasformazione tecnologica della stessa partecipazione democratica, ripresa poi in vari ambiti e contesti culturali e politici, non ultimo in Italia.

Ma al di là delle derivazioni teoriche del tema che Marcuse pone al centro di quei lavori, occorre dire che riletta oggi, la sua posizione mostra aspetti interessanti soprattutto per il modo in cui egli affronta in questi testi il problema della libertà come un problema interno al rapporto tra tecnica e tecnologia.

Così che la sua posizione mostra indicazioni interessanti per valutare correttamente anche il modo in cui il tema della libertà viene oggi rivendicato da coloro che si dichiarano contrari alla vaccinazione o al tracciamento del green-pass.

Marcuse spiega infatti che se la tecnica è per un lato la metodica negazione della natura da parte del pensiero e dell’azione umana; dall’altro lato, ciò che ha sancito il dominio della tecnica nella società umana è stata la sua capacità di risolvere il problema (sociale e individuale) della scarsità.

La liberazione a cui la civiltà della tecnica ha dato luogo e dà luogo è la liberazione dalla mancanza materiale che affliggeva le società precedenti (e che continua purtroppo a affliggere quelle meno sviluppate).

Questa liberazione non sarebbe però in sé sufficiente a garantire un dominio della società della tecnica così prolungato e consolidato nel tempo. Né potrebbe spiegare l’istituirsi del suo ordine, a un tempo confortevole e assoluto, nel modo in cui oggi continuiamo a sperimentarlo.

Dal momento che l’istituirsi della società della tecnica deriva dalla sua capacità di liberare dalla scarsità i suoi membri, l’affermarsi del dominio della tecnica non potrebbe avvenire se non rendendo permanente il sentimento ‘originario’ di scarsità che la tecnica è stata in grado di risolvere. Dunque: il dominio, nella società della tecnica, deve reggersi su un sentimento permanente di paura e mancanza per il quale la tecnica rappresenta l’unica soluzione.

È la continua sollecitazione di questo sentimento a aver prodotto la principale conseguenza negativa di cui la società della tecnica è ritenuta oggi (con buona pace di alcuni opinionisti di giornale) inequivocabimente responsabile, ossia la catastrofe ecologica.

Ma la posizione di Marcuse è però ben lontana dal ripiegamento anti o pseudo-scientifico che caratterizza oggi una larga parte della popolazione europea e occidentale di fronte alla pandemia.

Il superamento della scarsità, continua Marcuse, avrebbe dovuto rappresentare in realtà un limite all’impiego della tecnica. Ma la società dei consumi ha scientemente creato e alimentato un sentimento della scarsità che ha portato all’abolizione di ogni limite tecnico-produttivo, rendendo quello della scarsità e della mancanza un sentimento tanto incontrollato quanto generalizzato.

E soprattutto ha reso questo sentimento di scarsità economicamente funzionale, vincolando gli individui alle forme produttive e di consumo imposte da (e attraverso) la società della tecnica (alias, il capitale).

L’abolizione del limite che garantiva la legittimità della tecnica (quello di permettere il superamento della scarsità) ha quindi coinciso con una libertà incondizionata dell’impiego della tecnica, volta alla soddisfazione di bisogni sempre meno essenziali (fame, malattie, fatica) e sempre più indotti (beni di consumo, moda, turismo, ecc.).

Pettanto, se la società della tecnica è una società che si regge sulla capacità di alimentare un costante sentimento del bisogno che la tecnica è chiamata a soddisfare per mezzo della produzione, ciò che interessa Marcuse è però la condizione che questo circolo vizioso viene così a stabilire.

Il fatto che, circoscritto alla sfera dei consumi (e dunque essenzialmente privato), questo bisogno che la società della tecnica alimenta e soddisfa sembra avere anche già necessariamente oltrepassato (e cioè abolito) quella possibilità di condivisione positiva (fondata su un reciproco riconoscimento di valori, aspirazioni e bisogni) che il sentimento di scarsità, per il quale la tecnica era sorta, rendeva invece possibile sviluppare.

Per lo stesso motivo, la "scarsità" e la mancanza di libertà che oggi si rivendicano nelle piazze sembrano anch’esse di tutt’altro tipo.

Apparentemente, quella rivendicazione di libertà che pretende di negare, per esempio, l’efficacia del vaccino, o che afferma che il virus stesso sia solo una montatura del "potere" per soggiogare definitivamente (!) la popolazione, sembra porsi effettivamente in termini di conflitto con la società della tecnica.

In realtà, occorre dire che ciò che quella rivendicazione pretende, o sarebbe meglio dire ri-vuole, è solamente il ritorno alla propria "normalità".

Quell’invocazione di libertà non fa altro che affermare, in modo più o meno scomposto o irrazionale, la mancanza di ciò che "prima della pandemia" rappresentava l’orizzonte medio del consumatore tipo (assoggettato alla soddisfazione immediata del proprio impulso a acquistare ciò che in ogni momento deve sentire come mancante, e ormai incapace di elaborare risposte politicamente efficaci nei confronti di un sistema sociale che, mentre impone la necessità del consumo, rende sempre più difficile e precaria l’esistenza al suo interno).

Più che porsi in termini di liberazione, quella richiesta di libertà manifesta quindi un valore che è del tutto regressivo. Ciò che essa reclama non è altro che la società della tecnica, così come questa dominava abitualmente le nostre vite prima delle "restrizioni" (per quanto le restrizioni non abbiano in realtà cancellato affatto il suo dominio).

Perfino la convinta svalutazione di un ritrovato tecnico (il vaccino) quale mezzo per contrastare il virus, invece che porsi una dichiarazione d’accusa verso il dominio della società della tecnica, finisce per esprimere soltanto il bisogno di un irrazionale ritorno alla "norma", evitando del tutto, ancora una volta, il problema della fondamentale "a-normalità" di ciò che la società della tecnica ha istituito come sistema di sfruttamento generalizzato.

Potremmo dire che, da questo punto di vista, le finalità di chi governa la pandemia sono paradossalmente allineate con quelle di chi ne contesta le restrizioni. Il palese fallimento delle conferenze sul clima e il costante richiamo al ritorno della crescita economica ne sono l’esempio più evidente. Ciò che distingue le due posizioni è soltanto l’impazienza e l’incapacità di frenare il proprio "impulso di morte" da parte dei secondi.

Di conseguenza, quell’invocazione di libertà deve risultare priva anche di contenuti positivi comuni (l’unico contenuto comune di questa rivendicazione sembra essere quello per cui è possibile rischiare l’estinzione di una parte della popolazione mondiale pur di non interrompere lo stile di vita del consumatore medio, europeo e occidentale in primis).

Un’idea di libertà che è dunque in sé e per sé reazionaria (nel contenuto come nei modi in cui essa viene affermata: senza alcuna preoccupazione e precauzione per il benessere e la sicurezza altrui).

All’opposto dello sfogo narcisistico di questa rivendicazione di libertà, la liberazione che Marcuse indica dall’attuale società della tecnica e dai suoi bisogni indotti, non può che fondarsi su un principio del tutto differente. Su una condizione in cui la tecnica (impiegata per il superamento del bisogno e della scarsità) è però vincolata al rispetto delle necessità riguardo al suo impiego, su cui deve fondarsi sia la liberazione dalla scarsità, così come la liberazione dal bisogno indotto (e prettamente egoistico) alimentato dalla società dei consumi, e sia infine dai rapporti di sfruttamento che derivano da quegli stessi bisogni indotti.

Nulla a che vedere, dunque, con le rivendicazioni a cui stiamo assistendo.