Attualità del malinteso
Franco La Cecla
10.09.2022
Il testo che segue è la Premessa al volume di Franco La Cecla Il malinteso edito da Meltemi


C’è un solo metodo nell’antropologia sociale: il metodo comparativo – ed è impossibile.
Rodney Needham1
Une langue entre autres n’est rien de plus que l’intégrale des équivoques que son histoire y a laissé persister.
Jacques Lacan2


L’interesse per il malinteso è andato crescendo negli ultimi due decenni. Dovuto probabilmente a una profonda crisi delle cosiddette scienze della comunicazione. Più si è ampliato il campo dell’Intelligenza Artificiale e meno l’idea che gli esseri umani si scambino informazioni è diventata plausibile. Si potrebbe anche pensare che l’umanità alle prese con le macchine “pensanti” abbia elaborato una serie di considerazioni generali. Invece che assimilarsi a esse ne abbia capito la profonda alienità. O ne abbia percepito una comunanza più radicale che ha a che fare con l’eleganza dei codici e con la loro natura metaforica (e forse nel fondo retorica). È probabilmente la natura di un’opera geniale come Geek Sublime scritta da un developper della Silicon Valley che è anche un grande romanziere, Vikram Chandra3.

Attualità del malinteso: che trascende il carattere puramente linguistico, la traduzione ponendosi su più campi, non solo quello della lingua e delle lingue tra di loro, ma quello della intenzionalità individuale e collettiva e quindi la sfera delle emozioni con tutte le componenti contestuali, temporali, geografiche, culturali. È difficile tradurre le emozioni, è possibile credere che siano universali, ma in realtà costituiscono sistemi e una traduzione non è deducibile da una pura comparazione4.

Ci sono altri livelli, in questo libro, ad esempio viene dato risalto ai malintesi spaziali, a luoghi che non possono essere indifferenti a tutta la “mente locale” che vi si è sedimentata. La geografia è l’evidenza della impossibilità di abitare il mondo senza passare per il suo dettaglio, montagne, fiumi, alberi, ma anche chi vi ha prima abitato. I luoghi provocano malintesi perché siamo tentati di schiacciarli dentro ai paesaggi già conosciuti. La storia della colonizzazione la dice lunga sui disastri dei conquistatori – gli spagnoli si impadroniscono di un mondo di montanari di alta quota, l’impero Inca, per poi essere incapaci di abitarvi, e capaci invece di distruggerne tutte le risorse naturali.

Abbiamo perso l’idea che la natura sia “un libro” che racconta in maniera chiara e distinta un discorso che starebbe a noi leggere, obbedendo alle leggi naturali e alle evidenze. Le evidenze della natura esistono ma sono distorte dal nostro sguardo che cerca di ridurle a leggi naturali. Esse si manifestano con una tale ricchezza di variazioni da indurci a pensare che la natura abbia una agentività di cui ci eravamo completamente dimenticati. Oggi è la vendetta della natura che nel disastro climatico sta facendo risorgere l’idea che dei suoi ritmi, delle sue sistematicità abbiamo capito ben poco5. E lo stesso vale per una ipotetica comunicazione interspecista, un sogno dei popoli indigeni, ma ben cosciente del gap impossibile da riempire tra umani e non umani. La prospettiva prospettivista di Viveiros de Castro6 ci racconta che tutte le specie viventi sono uomini mascherati da animali, piante, vento, fiume, aria. È un’idea magnifica, ma in essa sta ancora tutta la disdetta del non potere essere vera fino in fondo. Trattare gli animali come umani è possibile solo nella accettazione costante della relazione preda/predatore, una dialettica che fa del cannibalismo reciproco l’unica forma possibile di assunzione dell’altro. È ingerendo l’altro o facendosi inghiottire dall’altro che può avvenire una traduzione nella trance, nel volo sciamanico o nel cannibalismo vero e proprio.

Ci sono altri tipi di malinteso, quelli tra culture, in cui i giochi di dominazione e predazione non sono lineari come potrebbe sembrare a prima vista, e questi sono i malintesi di cui si occupano gli antropologi. Ci sono malintesi psichici, si potrebbe interpretare la teoria freudiana dell’inconscio come un permanente malinteso tra due livelli interiori. La coscienza prende cantonate sull’inconscio, lo interpreta, lo traduce con strumenti che lo falsano continuamente proprio perché gli strumenti di questa traduzione sono di per sé già elusivi, ambigui, traditori, i sogni, la libera associazione, il transfert. Per capirsi bisognerebbe alienarsi. Il livello della divinazione, della profezia consentiva al mondo antico e ai mondi tradizionali di credere che la traduzione fosse possibile, ma al tempo stesso poneva in chiaro che in questo campo occorreva accettare tutta l’ambiguità e la vaghezza.

In tutti questi casi il malinteso è una costante ma è anche l’evidenza che occorre una strumentazione molto più raffinata per tentare di gettare ponti, passerelle, passaggi di corde. Occorre sempre avere in mente il rischio del transito, sapere che esso ci conduce dove non volevamo, che soprattutto esso ci cambia e quando siamo arrivati dall’altra parte abbiamo perso il nostro punto di vista. Occorre tenere ben presente, stringere a sé il malinteso come un amuleto che ci ricordi costantemente dei pericoli e delle possibilità dell’inedito. Quando feci leggere la prima versione di questo libro a Ivan Illich, lui ne fu contento, ma allo stesso tempo mi rimproverò di avere ignorato tutta la storia della ambiguità. Cercai di capire se volesse darmi indicazioni, ma la sola vera era il farmi capire che probabilmente avevo scelto una strada ma ce n’erano molte altre.

L’antropologia è considerata spesso improbabile, in balia di una doppia soggettività, quella dell’antropologo e quella della società di cui si occupa: una disciplina che soffre costantemente degli sbandamenti dovuti a un dialogo difficile e spesso impossibile7. È una presunzione che nel corso della sua evoluzione ha accumulato una infinità di dubbi. E allo stesso tempo questi dubbi sono la disciplina. Il metodo comparativo non è un metodo affidabile, è un azzardo, ma in esso vi è l’azzardo normale di ogni relazione tra soggetti, vi è il gioco inesauribile di un discorso che nasce solo in presenza. Da un certo punto di vista è la vera erede della stoa aristotelica, il discorso possibile e non trascrivibile, la ricchezza dell’interloquire, ma anche il costante dubbio che qualcuno stia socraticamente barando.

Un altro malinteso tipico è quello che oggi come non mai persiste tra discipline, storia, antropologia, sociologia, geografie, scienze umane, neuroscienze, linguistiche, semiotiche, cultural studies, letteratura comparata, psicoanalisi, psicologie ma anche biologie, fisiche, astrofisiche, matematiche. Malinteso dovuto alla credenza di ognuna di queste discipline di avere ben precisi confini e dall’altro lato alla presunzione di avere un proprio campo specifico. Quando invece nella pratica degli ultimi decenni è l’invasione dei campi altrui che caratterizza buona parte di queste discipline. Lo slittamento tra una disciplina e l’altra spesso suscita l’ilarità degli addetti ai lavori, ma consente delle visite salutari che riformano gli schemi velocemente inutilizzabili dello sguardo specializzato. È quanto effettivamente ha cercato di insegnarci Rodney Needham. L’exergo è tratto da un’opera sulla “classificazione politetica”, che è un tipo di classificazione usata nelle scienze naturali che Needham propone come molto utile per comprendere come funziona il metodo comparativo in antropologia.

Attualità del malinteso: in un tempo in cui il mascheramento si sta imponendo esso corrisponde a una tendenza crescente a filtrare la presenza, già pervasivamente imposta da una trasformazione dei media. La digitalizzazione della presenza ha preparato (non tanto misteriosamente) l’intero mascheramento della società. Simulacri di presenza che consentono una riduzione della interazione umana secondo parametri controllabili da terze persone che siano fisiche o robotiche fanno sì che il malinteso si estenda a sfere sempre più ampie della quotidianità. La riduzione della interazione a rapporto tra schermi sottrae l’interazione umana all’ambiguità che le è propria. Questa semplificazione, già operata con il sistema telefonico, ha nella digitalizzazione un passo ulteriore. Accettare di sostituire all’incontro fisico reale, faccia a faccia, il surrogato di un incontro tra surrogati di presenza8, voce, immagine, fa sì che la zona del malinteso si ampli. Corrisponde all’impoverimento di un linguaggio che rinuncia a buona parte di ciò che lo costituisce, l’aspetto pragmatico di esso, gesti, corpo, umori, distanze e vicinanze coniugate strettamente al contesto in cui l’incontro avviene. Credere che ciò faciliti la comunicazione è come credere che un carrozzino per paralitici renda più facile il deambulare umano. Oggi stiamo assistendo a una ideologizzazione della scomparsa della presenza nell’interazione umana, giustificata da una pretesa semplificazione e oggi da una sua maggiore sicurezza sanitaria. Non è un caso che l’ideologia delle smart cities vada di pari passo all’incremento del controllo e di tutte le nuove tecnologie di sorveglianza (tra tutte quella che sta introducendo il riconoscimento facciale). Ridurre l’incontro a un check out programmato da un algoritmo è l’utopia di una società che crede e vuol far credere di sostituire all’incontro tra esseri umani quello tra segnaposti.

Attualità del malinteso: nel 2016 l’Università di Bruxelles ha organizzato un convegno dal titolo “Figures du malentendu” che ha riportato alla ribalta il tema e convocato a trattarlo personalità e studiosi dalle più varie discipline, dagli esperti del diritto, ad antropologi che lavorano in Kerala sull’aspetto euristico del malinteso, da chi si occupa dell’angoscia che prende l’antropologo sul terreno, ad approcci linguistici ed epistemologici9.

Quest’anno, a sei anni di distanza, è stato il Carism, Laboratoire de recherche en Sciences de l’information et de la communication di Paris Panthéon, diretto da Frédéric Lambert, a organizzare un colloquio dal tema “Du malentendu: traductions, sciences sociales”. Sotto l’egida dell’exergo di Antoine Culioli che recita “La comprensione è uno dei casi del malinteso”10, il convegno ha preso una direzione molto radicale, un po’ come se fosse il bilancio dei dubbi sulla comunicazione elaborati negli ultimi venti anni. Il clou è stato l’intervento di una delle sorelle Servais, le autrici di un articolo che ha cambiato la prospettiva sulle scienze dell’educazione, ma anche della comunicazione interspecista, Le malentendu comme structure de la communication11.

Le Servais hanno lavorato sul caso di un bambino autista di cui si sono prese cura per una decina di anni e sull’esperienza di interazione con dei delfini con cui il bambino nuotava. Il risultato è stato un porre in discussione buona parte degli assunti di partenza. Non solo la struttura della comunicazione del bambino non era riconducibile a schemi previsti, ma la stessa interazione interspecista ha creato molti dubbi sulla sua efficacia e sul senso di una pratica con degli animali in cattività. L’idea che il malinteso sia fondamentale per capire la struttura della comunicazione mi ha spinto, in quella occasione, a proporre l’ipotesi che, se si esamina la pluralità e la varietà delle lingue e degli idiomi umani, si sarebbe tentati di pensare che la funzione primaria di una lingua naturale sia quella di produrre malintesi. Ovviamente è una tesi dovuta ad After Babel di George Steiner.

La grande differenza tra le lingue presente anche presso popoli che vivono molto vicini produce dei confini più spessi che delle mura di cemento armato. Il malinteso è uno dei fondamenti della comunicazione umana. Il caso dei “falsi amici” fa pensare che le grammatiche naturali producono dei segni e delle parole che rimangono ambigue o segrete al fine di fare cadere i vicini nelle trappole del malinteso. È una lettura antropologica della produzione delle lingue, che sarebbero delle “macchine per produrre ambiguità” in relazione con il ruolo del segreto in molte società, come dispositivo che dà valore a gesti, pratiche, riti, parole. Il malinteso è parte di questa “messa in valore”, avendo il ruolo dello svelare e velare al tempo stesso, quello che Michael Taussig chiama nel suo Defacement “conjuring”, la pratica, il trucco del mago, dello sciamano, delle sette segrete, delle maschere12.

Attualità del malinteso: come patologia apparentemente, ma allo stesso tempo, un virus che pervade l’intero campo della comprensione, e come i virus che rendono possibile la vita, minacciandola, è alla base del modo con cui le società si strutturano, evolvono, dando all’ambiguità il ruolo di ampliare le possibilità e di consentire gli scarti, gli sbalzi, i cambiamenti di direzione. Il malinteso fa parte della natura “amorale”13 del tessuto che tiene insieme le società, quelle regole frangibili che consentono la quotidianità e allo stesso tempo un futuro imprevedibile da percorrere. Per questo credo che siamo solo all’inizio della ricerca sulla fertilità incredibile del malinteso e sulla capacità che esso ha di farci scoprire l’inedito in noi e intorno a noi.


1 R. Needham, Polythetic Classification: Convergences and Consequences, in “Man, New Series”, vol. 10, n. 3, 1975, pp. 349-369.
2 J. Lacan, L’étourdit, in Autres écrits,.p. 490. “Una lingua, tra le altre cose, non è niente più che l’insieme totale degli equivoci che la sua storia vi ha lasciato persistere).
3 V. Chandra, Geek Sublime, la mia vita tra letteratura e codice, tr. di A. Martinese, Egg editore, Medio Campidano 2015.
4 A. Wierzbicka, Emotions across Languages and Cultures. Diversity and Universals, Cambridge University Press, 1999; F. La Cecla, Tradire i sentimenti. Rossori, lagrime, imbarazzi, Einaudi, Torino 2022.
5 M. Taussig, Mastery of Non-Mastery in the Age of Meltdown, University of Chicago Press, Chicago 2020.
6 F. Viveiros de Castro, Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, Ombre Corte, Milano 2009.
7 L. Dematteo, M. Pandolfi, Anthropology from Dissonance to Ambiguity, Brill, 2020.
8 F. La Cecla, Surrogati di presenza. Media e vita quotidiana, Bruno Mondadori, Milano 2006.
9 F. Lauwert, L. Legrain (a cura di), Figures du malentendu, in “Civilizations”, vol. 65, n. 1-2, 2016.
10 A. Culioli, Pour une linguistique de l’énonciation, Ophrys, Paris 1990.
11 C. Servais, V. Servais, Le malentendu comme structure de la communication, in “Questions de communication”, n. 15, 2009, pp. 21-49.
12 M. Taussig, Defacement: Public Secrecy and the Labour of the Negative, Stanford University Press, 1999.
13 F. La Cecla, P. Zanini, Una morale per la vita di tutti i giorni, Elèuthera, Milano 2012.

© Franco La Cecla , Il malinteso, Meltemi 2022